Documenti di Fuortes sr

Poesia del poeta salentino Carmelo Arnisi dedicata al piccolo Antonio Fuortes senior

Diploma di merito di Antonio Fuortes senior conseguito in terza elementare presso il Convitto Argento

Diploma di laurea in Scienze Fisiche e Matematiche presso l'Università di Pisa, 12 ottobre 1906

Diploma di laurea in Ingegneria Elettrotecnica con lode presso l'Università di Liegi, 21 agosto 1908

Attestato della qualifica di ingegnere per l'iscrizione all'Albo Professionale

Presentazione della conferenza tenuta presso la sede del Collegio degli Ingegneri e Architetti pugliesi di Bari, dall'Ing Antonio Fuortes, della Direzione dell'Acquedotto Pugliese, sul tema della Telegrafia senza fili

Lettera di Fuortes senior al poeta Girolamo Comi

 

Vigevano, 23 feb.1951

Via Dante 13

 

Carissimo Momo,

guarda, ti prego, la data dell’assegno che ti accludo per l’abbonamento alla Rivista. Essa ti dirà che lo feci fare non appena mi giunse l’avviso della spedizione dei fascicoli, e stavo per inviartelo. Pensai, però, che tu avresti gradito anche e forse più, una qualche parola che ti dicesse che l’Albero era stato ricevuto, ben accolto ed apprezzato. Avrei dovuto leggere i tre fascicoli, quindi, perché ho la non bella abitudine di non dire se non ciò che realmente penso, e per pensare qualcosa della rivista non potevo ignorarne il contenuto. E avrei dovuto leggere con calma. Ma, purtroppo, di calma in quel periodo, che dura del resto ancora, ne avevo poca. Ero soprattutto annientato dalla notizia sentita, svegliandomi, alla Radio, della scomparsa avvenuta due ore prima del Trilussa, proprio mentre io sognavo di lui! Ne rimasi atterrito! Trilussa era stato il mio caro compagno per quasi venticinque anni e mi era divenuto caro oltre ogni dire nel periodo più brillante della mia vita dal ’17 al ’32. Nell’ottobre scorso, essendomi trattenuto qualche giorno a Roma, nelle mie visite quotidiane avevamo rivissuto quella nostra vita meravigliosa e nelle nostre menti, pensavamo, senza dirlo a una sola cosa: la fine! Non ti meravigli se ho pianto e piango la sua perdita più che come la perdita di un fratello, perché mi è parso che egli abbia portato via con sé una gran parte di me stesso. Mi par d’essere un po’ morto! Pur nell’angoscia in cui ero, mi è stato possibile, non farti lo  sgarbo di mandarti il vaglia senza una parola sulla “Accademia” e sulla Rivista. Assurda idea  , chiama il Ciardo la tua, ma avrebbe fatto meglio se l’avesse chiamata “idea un po’ ambiziosa e francescanamente audace”.  Sembrò speranza da pazzi quella di vedere realizzate le idee di Francesco di Bernardone, coi mezzi di cui disponeva, coi collaboratori che aveva, nei tempi in cui viveva! Ciò per spiegarti l’avverbio che ho usato dianzi e non perché voglia per iperbole portar la tua audacia alle dimensioni dell’audacia dell’inconsapevole Francesco, fatto consapevole dalla Fede. Vedo, sì, ora il nuovo Accademo, che in questa impresa si dimostra eroe quanto l’Attico, ma potrà egli suscitare, non certo resuscitare, se non un Platone, almeno un Carneade? Te l’auguro, caro Momo, anche pel decoro della terra nostra, che ci sta nel cuore e molto più forse a chi ne sta lontano, che a chi ci vive.

E con la franchezza, cui non ho potuto mai sottrarmi, ti dirò quel che penso dell’Albero, e spero non ti dorrai che il tuo antico e vecchio pedagogo ti parli un po’ come se fosse ancora tale.

Bello il disegno di Ferrazzi. Bella la veste tipografica, benché sia necessario correggere alcune mende dovute a poca pratica del proto. Non è ammissibile, per esempio, finire la pagina con l’asterisco, come a pagina 12,16 del 1° fascicolo; l’asterisco va a capo del paragrafo o capitolo, come alla pagina 19. Lo spazio tra titolo e inizio dello scritto non dovrebbe eccedere le 10 righe; il corpo adottato per i titoli mi par troppo grande: ciò obbliga ad abolire la spazieggiatura quando il titolo è lungo o a cambiar corpo come nell’E. del tuo “stato di grazia ecc”. Nel fasc. 5-8 si cambiò il corpo usuale. Nell’”errata” al terzo fascicolo è sfuggito il “soggiocare” per “soggiogare” alla riga 5 della pagina 99, nelle tue vedute sul comunismo.

E veniamo al contenuto, alla sostanza della bella rivista. Ti dico subito che ho letto volentieri tutto anche perché volevo avere un’idea dell’anima degli Accademici, che dovrebbe poi essere l’anima del Salento, anima che ormai mi pare di non conoscere più! Indubbiamente interessanti molti degli scritti, quali quello del Mazzali, i due dell’Anceschi, quelli del Marti e la lettera dell’Assunto. E menziono per ultimo i tuoi perché meritano uno speciale riguardo. Bello il sonetto “L’Albero”, che mi è parso di aver già letto in qualche parte. Interessante il tuo “stato di grazia”: non m’accordo con te per quanto riguarda la cultura – o coltura come tu suoli scrivere. La cultura, come “patacca” da spendere in luogo dell’ingegno è certo insufficiente o inadeguata; ma alla formazione dell’intelligenza, nel Montaigne che tu citi, non si arriva colla cultura? Il Montaigne non aveva bisogno di ornarla perché bastava il suo genio a supplire agli ornamenti degli altri. Ma anche per chi ha ingegno la cultura rappresenta per lo meno seme fertile di idee ed in ogni caso il risparmio del tempo, che la propria intelligenza deve perdere in investigazioni, analisi, sintesi ecc. che altri già han fatto. Vero è che tu distingui tra cultura in genere e cultura congeniale. Ma per il poeta quale è la cultura congeniale? A quale si deve essa restringere? Senza la cultura esisterebbe quel pozzo inesauribile delle Commedia dantesca? Non trovi in essa tutto lo scibile dei tempi dell’Alighieri? In quel tuo stesso “articolo” tu ti contradici e ti neghi con le frequenti citazioni della tua cultura congeniale. La verità è che chi ha cultura senza ingegno non potrà se non ripetere ciò che altri hanno detto prima di lui; chi ha ingegno e non cultura può dire le cose che già altri dissero ed eventualmente anche quelle che mai nessuno disse.

Il saggio su Baudelaire è bello: l’epistolario di questo disgraziatissimo poeta ci dà un’idea più nera del suo essere; difatti nelle lettere egli rispecchia meglio il vero spirito, di quanto non faccia quando è preso dal demone della poesia o quando è in stato di grazia poetico, come diresti tu. Interessante quando scrivi sul comunismo. Io trovo però fuor di luogo rapportare storie comuniste con la “teoria sociale” che potrebbe esprimersi dalla Bibbia e con la carità cristiana. Quanto lontano è lo spirito e lo scopo che animano queste, dallo spirito e dallo scopo diabolici che quelle si prefiggono. Mi meraviglia leggere scrittori di oggi, che leggermente intraprendono tali raffronti. Tu assai bene hai messo in luce tutto quel che di nefasto il marxismo contiene e, facendo ciò, hai ancora una volta dimostrata l’utilità della cultura e lo hai anche proclamato! Con una certa efficacia hai risposto alla lettera che l’Assunto ti scrisse e che tratta con serietà, abilità e buon gusto un problema importante. Alcune tue argomentazioni sono particolarmente di un effetto pieno e sicuro. Ma perché hai poi fatta seguire l’altra risposta, quella del Macrì, senza almeno tradurla in italiano? Essa non dice nulla di serio, per quel che è dato interpretare, e quello che dice lo dice in maniera barbara. Non ti sarà sfuggita l’aurea forma dei primi periodi: Mi spetta accennare a tutto il secondo periodo che è un capolavoro di stile, di sintassi e di logica! La gran trovata dello scritto pare debba essere quel “pietismo meridionale” trovata che ha fatto sì che nella riunione del 9 settembre, l’argomento trattato dall’Assunto, che avrebbe potuto e dovuto far nascere una discussione veramente degna di un’Accademia permise invece che esso fosse liquidato come uno “stato di uno sfogo autobiografico e sentimentale riferito al pietismo meridionale intriso di astratta dolcezza e brama di consolazione”! Scommetterei che il resoconto della riunione fu redatto dallo stesso Macrì! Si resta, o almeno io sono restato, sconcertati dalla maniera colla quale questo scrittore adopera la lingua italiana! Inutili arcaismi, quali “il genesi; similazione; inveniente; fabulato; terrestramente; supervocaneo ecc. in combutta con tutti gli altrettanto inutili neologismi quali relativistico;psicologistico; energetismo; superomismo .......... Anche la punteggiatura è indice di un qualche disordine mentale. Ma quello che più stride sono le improprietà, la forma scorretta, per cui sin dal titolo si comincia a notare deficienze (vedi “Della vita, il carattere e le opere ecc.) i veri e propri errori, come quello nella pagina 33, riga 15 del fasc. 2-4 “Il re, che era interceduto in favore di Fray Luis!! Ciò che maggiormente irrita in questo scrittore è la maniera di esporre i suoi pensieri. Rileggi nella risposta ad Assunto: “La religione, e quindi il cattolicesimo, sono non soltanto ecc. fino a vita, e dimmi tu se sei riuscito a sondare la profondità dell’analisi della trasformazione della psicologia di cose astratte, che, diventando trascendentale, fa acquistare alle cose astratte significato e vita !!! Ora io ti domando: - Credi tu che chi riduce al concreto in parole i propri pensieri in maniera così … elegante, possa interpretare ed esprimere il pensiero degli altri? Povero Fray Luis criticato, tradotto e commentato in tal modo! Non si aspettava egli di certo, che, da morto gli fosse riserbato un supplizio ben maggiore di quello che subì dalla Inquisizione! Confortami, caro Momo, con un tuo scritto e spiegami perché serbi a questo “scrittore” tanto spazio della tua rivista e perché lo hai scelto a rappresentante degli “intellettuali” salentini. Non mi meraviglierei, anzi sarei indotto a credere, che  egli possa calpestar qualche cattedra, ma non sarebbe questa una buona ragione perché egli sia in vostra compagnia o vi predomini. A Leuca, tu accompagnasti, questa estate, due Signori, il cui nome che mi dicesti e che mi sfuggì, perché non risvegliò in me alcun ricordo; scommetterei che il Macrì era quello bassino dei due! Mi fanno creder ciò le poche cose interessanti che disse, non prive di condimento dottorale. Mi son forse sbagliato?

Ed ora lasciando i singoli e parlando del complesso trovo che gli scritti dell’Albero, in genere, snaturano il vero carattere del Salentino. Tranne i tuoi, gli altri son tutti studi di critica filosofico letteraria. Uno dei caratteri del “Salentino” – almeno così come io me lo figurai e come ancora me lo raffiguro! – è certamente quello della critica, anzi meglio direi, dell’acutezza della critica; ma soprattutto nel “Salentino” si deve trovare il creatore, l’artista, anche, purtroppo, se mancato! Ma è difetto delle nuove generazioni d’aver più critici che modelli.

Ed io mi preoccupo di te, della tua rivista e del suo successo e del tuo encomiabile sforzo generoso. Potrai continuare a pubblicare tesine di laurea o anche scritti di valore, ma sempre di critica letteraria? E chi li leggerà più? Neanche fra di loro i tuoi collaboratori si leggeranno,  per potersi magari azzuffare come il Marti con la Corti.

Mi dirai: - Perché ti arroghi il diritto di giudicare? Sei tu qualificato a farlo?

E ti rispondo:- Il diritto mi viene dal fatto che tu mi mandi per leggerla, la tua rivista. La qualifica credo di averla, perché anch’io ho scritto e scrivo, anche se non ho più altro pubblicato dopo la traduzione dei “Ricordi del Tagore” (Carabba). Avevo già pronti per la pubblicazione anche i volumi de “Giardiniere” e della “Fuggitiva”, ma  il Tagore al quale ebbi il piacere di essere presentato dal Formichi non volle che li pubblicassi nelle edizioni del Carabba che gli parevano orribili. Mi fece mettere in relazione col Gallarati-Scotti, che egli aveva incaricato di cercare di sottrarre al Carabba l’esclusiva datagli dall’Editore inglese, per curare poi una conveniente edizione italiana. Ma il G-S non riuscì che a prendere tempo per diversi anni, ed io finii per non pubblicare più nulla. Questi due volumi, con quelli delle poesie arabe de Toussaint - Jardin de Caresses - e delle Cinesi dello stesso “La flute de Jade”, son circa 500 liriche in versi italiani, sulle quali conoscevo lusinghieri giudizi. Le traduzioni si son salvate dalla devastazione in cui invece son finite le cartelle coi versi, con le novelle e un insieme di cinquantasette legni incisi, molti dei quali pubblicati sulla rivista xilografica e nella bella pubblicazione di lusso Del Rasi “Gli adornatori del libro”. Ho salvato anche oltre un centinaio di dipinti a olio. Ma quanto ho perso è molto più di quanto ho salvato. Che tristezza indicibile mi ha sempre dato la perdita di qualche oggetto; mi è toccato di provare anche la più grande tristezza dalla perdita di qualcosa più mia di un oggetto che mi appartiene! Fra le poesie perse la traduzione delle Quinze chanson di Maeterlinck -traduzioni sommamente care al Trilussa che ne avrebbe una copia e che mi scordai di chiedergli per ricopiarle. Chissà se mi sarà dato più ricuperarle. Vorrei scegliere qualcosa per la tua rivista, ma me ne manca la calma. Se credi che ti possa giovare lo farò però e cercherò per la vostra galleria un vecchio “Ulivi delle serre” che data al 1908, e che dovrei in ogni caso riverniciare, se non modificare. Non che ora dipinga diversamente da allora. Non so come si possa fare a cambiare di stile fino a trasformarsi.  La maniera può subire perfezionamenti, ma lo stile resta quello: il disegno, gli impasti dei colori, il gusto del soggetto restano quelli inconfondibili. Chi può cambiare stile o inventare tendenze lo può fare perché di stile non ne ebbe mai uno proprio, ma sempre uno d’accatto. E lo stile è l’uomo, così in letteratura, come in pittura ed in  musica e in ogni arte. E’ come la scrittura; è come l’impronta digitale.

La lunga tiritera, caro Momo, ha da finire. Io ho letto la tua rivista e tu leggi questi miei fogli, nei quali non s’annida nessun Oreste, né Ettore, né Ulisse, né macri, né grassi. E’ solo il tuo vecchio pedagogo che parla come sente e che si compiace che degli antichi precetti dell’Algebra ti sia rimasto qualcosa nella mente: l’uso della parentesi!

Ti abbraccio e ti ringrazio d’esserti ricordato di me. Fammi sapere il prezzo dell’abbonamento pel secondo anno

Antonio Fuortes

 

P.S. Avevo una mezza giornata libera. Questa lettera era ancora qui. Ho pensato allora di copiarti qualche traduzione fra le tante. Se credi di pubblicare scegli. Ma ti ho cominciato a copiare – non potevo disporre oggi della macchina – quelli del Toussaint a cui ho dato molto tempo risicandone al Tagore che ne la Fuggitiva ha cose bellissime

 

28/2/51                                        AFuortes

Per gentile concessione dell'Archivio di Stato di Bari, Fondo Prefettura, Gabinetto del Prefetto, Versamento II, B.155, f.60

 

Determinazione dell'altezza di volo degli aerei per uso contraerea nella prima guerra mondiale.

di Antonio Fuortes